Mi fa stare bene… frase semplice e complicata al tempo stesso.
Credo che nessuno sappia cos’è che fa stare bene fin quando non lo prova esattamente come ciò che fa stare male.
Ci possiamo immaginare qualcosa che non abbiamo mai fatto ed ipotizziamo che ci possa rendere felici, ma fino all’atto pratico non lo sapremo e rischiando potremmo anche scoprire di esserci sbagliati, rimanendo doppiamente delusi.
La paura della delusione, del “salto nel buio”, di mollare i nostri schemi consolidati è ciò che, a mio modo di vedere, ci impedisce di raggiungere un meritato grado di felicità.
Spesso siamo imbrigliati in qualcosa che non ci fa stare bene, anzi, ci fa stare proprio male, ma che è “sicuro”. In questa sicurezza ci rifugiamo, ci accoccoliamo, aumentando lo stress e l’odio per ciò che facciamo con una falsa convinzione di non poter sterzare.
Sto parlando dei massimi sistemi nella nostra vita.
Ci sono piccole cose che sono dense di felicità, che ci fanno stare bene, tutti i giorni. Quando Manrica mi ha chiesto cosa mi facesse stare bene la prima risposta che mi è salita è stata “il sorriso di mia figlia”. E’ innegabile. “Quello è il motivo per cui mi alzo ogni mattina”, mi sono detto. Già. Ma per quale dannata ragione ho bisogno di un motivo indipendente da me per alzarmi la mattina?
Se non avessi mia figlia o mia moglie, non avrei ragione di alzarmi? Allora c’è qualcosa che non va.
Eccoli i massimi sistemi. Ci deve essere qualcosa che rende felice me, che faccio per me e che mi farebbe alzare dal letto anche se fossi solo.
Ho iniziato a lavorare intorno ai 20 anni. Informatica, per curiosità, per divertimento. Ho assistito al passaggio da Dos a Windows, poi dal 3.1 alla rivoluzione di Win95, ho vissuto i primi modem che facevano l’handshake per connettersi a velocità ridicole… scaricare una foto voleva dire aspettare 30 secondi. Per il mio primo Mp3 su Napster ci ho messo 25 minuti. Ho vissuto il processore 486 come se fosse una roba da fantascienza. 8 Mb (OTTOMEGA!!!) di Ram, Hard disk da 212 Mb… Roba che adesso neanche il termometro digitale per misurarsi la febbre.
Ho fatto il commerciale vendendo server Intel o Compaq da decine di milioni di Lire che adesso non andrebbero bene manco per la macchinetta del caffè in ufficio, ho insegnato in aziende o scuole, ho avuto una società di consulenza, ho fatto siti internet, ho fatto il grafico freelance e poi, 12 anni fa, sono approdato in una software house.
Insegnare mi faceva stare bene e male al tempo stesso. Adoravo farlo, mi riempiva di gioia. Ma non riscuotevo. Mi pagavano in tempistiche lunghissime e mai certe. Lo stato invece i soldi li voleva in tempistiche brevissime e precise.
Le cose non andavano d’accordo ed a malincuore ho dovuto smettere per poter permettermi di pagare il pane al supermercato.
Così entro nel mondo della programmazione.
Fortunato, certo. Stipendio il 10 del mese, tutti i mesi per 12 anni. Colleghi favolosi (quasi tutti). Capi veramente in gamba. Tutto fichissimo.
Ma io, piano piano, mi sono spento. Stare di fronte ad un monitor tutti i giorni mi abbruttiva senza che me ne rendessi conto.
La sera tornavo a casa e crollavo sulla poltrona senza la voglia o la forza di spiccicare parola.
Com’era possibile?
Mica potevo essere così stanco. Invece lo ero, lo ero molto più di quanto non potessi pensare.
Con gli anni la situazione è peggiorata, mal di testa frequentissimi, acidità di stomaco, nervi a fior di pelle…
Ma lo stipendio tutti i mesi, ma 13a e 14a, ma ferie e permessi, ma massima elasticità dell’azienda su orari di lavoro…
E poi il mercato del lavoro: sei a Pistoia e non ti fila nessuno, vuoi cambiare? Difficilissimo e comunque a Milano, Bologna, Torino, l’indeterminato?
Ahahahahahahahah…
Così iniziamo tutti a fare gli stessi sogni, la stessa voglia di scappare… il chiringuito sulla spiaggia, il ristorantino tutto mio, tornare a lavorare la terra…
Non è la fatica che ci fa paura, no? Non sognamo di fare un lavoro da 2 ore il giorno. Sognamo un lavoro che ci gratifichi, che ci faccia stare bene, anche se faticoso. Almeno io ero disposto a lavorare anche 14 ore il giorno ma per qualcosa che mi avrebbe fatto sempre alzare dal letto contento per fare qualcosa che mi piacesse.
Utopia? Forse. Certo, a lungo andare tutto diventa pesante. Ma intanto fatemi cambiare, poi vediamo.
Il 31/12/2017 è la data in cui tutto è nato. Tra amici, frasi buttate lì tra la neve dell’abetone. Il coraggio di investire del denaro da parte di alcuni, di affrontare gli spigoli familiari per altri o di, il mio caso, mollare il caro vecchio posto fisso, la cuccia calda, sicura ma scomoda per cambiare completamente direzione.
Sei mesi di progetto, di valutazioni, soppesando pro e contro, ed a giugno si rompono gli indugi, un respirone forte e si parte. Mi licenzio, periodo di preavviso facendo la spola tra il nuovo e il vecchio fino a ferragosto e poi non sono più un sistemista/programmatore/grafico o che altro…
Adesso mi occupo di piante, di garden, di bulbi, di semi e, mai lo avrei detto, di cannabis light.
Il lavoro presso un vivaio ed una società a parte per la coltivazione di marijuana completamente legale (ovviamente, mica mi chiamo Pablo e Pistoia non somiglia a Medellin).
Ci sarà un guadagno?
Forse, probabile, ma per adesso c’è da farsi un mazzo tanto. Io, completamente analfabeta in materia di coltivazione mi son messo a seminare, a stendere teli sulle serre, patentini fitosanitari, ad imparare il linguaggio degli agronomi. La mattina alle 7 già al lavoro, la sera alle 8 spesso ancora al lavoro. Se piove mi bagno e se fa caldo (orco cane se fa caldo d’agosto nelle serre) bevo un litro d’acqua in più. Piegato sulle piantine a separare i maschi dalle femmine, a bestemmiare sui pidocchi ed a benedire le coccinelle. A spostare decine di vasi da 30 kg per sistemare le piante.
Fatica?
Boh… è fatica arrivare a sera e non sollevare le braccia dal dolore ma aver voglia di uscire e andare a bere una birra o è fatica tornare a casa senza un dolore ma non avere voglia nemmeno di sollevare un dito?
Sono entusiasta.
Sono giunto ad una conclusione: non è questo lavoro che fa stare bene.
Non è il vecchio che mi faceva stare male.
Cambiare, questo sì che fa stare bene.
Pensateci: cambiare la macchina non vi fa stare bene?
Certo.
Perchè?
Perchè quella che avete scelto è una Lamborghini? No, perchè avete cambiato scegliendo in cosa cambiare. (Però se vi siete presi una Lamborghini siete davvero dei ganzi eh)
Nel cambiare c’è la novità, l’aspettativa, qualcosa che non avevamo prima, il senso di rinnovamento, l’abbandonare una routine. Cambiare ci mantiene giovani, stimola la curiosità, impariamo cose che non sapevamo e facciamo tesoro del nostro passato impiegandolo in modi diversi.
Cambiare è una figata se è una tua scelta.
Francesco
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